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L'imprevedibile superficialità collettiva

L’essere umano è, per definizione, un individuo dotato di anima e mente, elementi che gli permettono di adattarsi a ogni tipo di ambiente e di scegliere responsabilmente come interagire con esso. Parte di tale adattamento non può che risiedere nella capacità di intrattenere relazioni sociali con i propri simili. La deduzione che segue un tale ragionamento è che, dunque, agli albori della comunicazione, sembra che sia stato proprio il nostro personale istinto di sopravvivenza ad averci spinto a relazionarci con gli altri.

Pertanto, dobbiamo concludere che se tale istinto, così intrinseco all'individuo, non fosse mai esistito, le relazioni sociali, di cui oggi vantiamo una certa competenza, non farebbero parte della nostra quotidianità, in quanto sarebbero catalogate come “non necessarie”. Accade, tuttavia, al giorno d’oggi, che la smania di intrattenere relazioni sia superiore al desiderio di un proprio riconoscimento come singolo. Non è raro sentir parlare tra adolescenti della necessità di “annullare se stessi” pur di rientrare in una certa categoria di persone e affibbiarsi un’etichetta. Basandosi sull’unica errata convinzione che il proprio io sia fin troppo strano e lontano dalla definizione di normalità, per poter sottostare alle convenzioni sociali. Sì preferisce così quel meccanismo di imitazione che mette un punto fermo alla conoscenza di se stessi e punta, invece, a quella dell’altro per poterla eguagliare.

Lo stesso meccanismo dei social si basa proprio su questo concetto: non potendo sbirciare dietro le quinte è necessario basarsi solo e unicamente sullo spettacolo inscenato. Non importa chi sia il regista, basta che i costumi e gli attori siano convenzionalmente accettabili. Il risultato è, naturalmente, che tra le centinaia di miliardi di pagine Instagram, canali YouTube e profili Facebook, i contenuti siano prevalentemente gli stessi. Si fa di tutto per assicurarsi che la posa con le gambe accavallate sul muretto del lungomare o la storia con Palazzo Mincuzzi in primo piano sia già stata fatta da qualcun altro. Ciò che conta è l’apparenza e la necessità di seguire il trend del momento. A determinare il seguito è ciò che si conosce, ciò che è popolare e che, generalmente, piace. La questione è, tuttavia, proprio quella di comprendere perché ciò che piace effettivamente piaccia. Il pericolo, quando si va incontro al processo di imitazione e svalutazione personale, è proprio quello di non capire le proprie preferenze e propensioni a causa della mancata conoscenza di se stessi.

La scelta fra l’approfondimento delle relazioni sociali e quello di se stessi è un ostacolo non indifferente da considerare, ma se non altro si può trarre conforto dal fatto che ci sia una risposta e che essa dipenda da due concetti in particolare: il primo è che non si può amare l’altro senza prima amare se stessi; il secondo è che risulta opportuno ricordarsi che, se non fosse stato per la leggenda di Marilyn Monroe, lo Chanel N°5 oggi non sarebbe poi così famoso.

 

Serena Maria Mancini, IIIB - Liceo Linguistico