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Francesco Ferruccio: l'eroe dimenticato

“Ogn’uomo di Ferruccio/ Ha il core la mano” queste le parole contenute nella quarta strofa dell’Inno di Mameli. Una strofa che incita il popolo dello stivale alla resistenza contro l’invasore straniero e alla difesa nazionale attraverso esempi eccellenti ed il verso sopracitato non fa eccezione alla regola. Esso infatti cita un eroe italiano protagonista di meravigliosi atti di resistenza ed eroismo, oggi da molti purtroppo dimenticato: il condottiero toscano Francesco Ferruccio. Ma chi era costui e perché è citato nel inno italiano come simbolo di eroismo e sacrificio per la libertà nazionale? Per spiegare ciò abbiamo bisogno di un minimo di contesto storico: siamo nel 1529 ed è in corso un conflitto europeo che ai posteri sarà noto come “Guerra della Lega di Cognac”. Lo scontro vede protagonisti l’imperatore Carlo V e una lega anti-asburgica, capeggiata dai francesi del sovrano Francesco I e dal Papa Clemente VIII, che abbraccia un gran numero di stati ostili al dominio imperiale, tra cui spicca la città del nostro protagonista: Firenze. Sono passati 2 anni da quando i Lanzichenecchi al soldo dell’Imperatore hanno saccheggiato Roma facendo tremare il mondo cattolico occidentale. Dato il periodo di profonda crisi, alcuni Stati ne approfittano per cambiare il proprio assetto politico: uno di questi è Firenze che scaccia i Medici (ritornati al potere nel 1512 dopo l’esperienza repubblicana di Savonarola e del Soderini) e restaura il governo repubblicano, fieramente anti-mediceo e anti-imperiale. Consequenzialmente a questa presa di potere, Carlo V (in accordo con il Papa mediceo Clemente VII) decise di fare rotta verso l’ “Atene d’Italia” per porla sotto assedio e instaurare un governo filo-asburgico. 

La città, conscia di un assedio imminente, organizzò le difese; ed è già qui che entra in campo il nostro protagonista: Ferruccio infatti si occupò personalmente delle fortificazioni lungo il corso dell’Arno, raccolse vettovaglie d’ogni tipo e addestrò le poche milizie al suo comando. Nell’ottobre dello stesso anno le truppe imperiali cinsero d’assedio la città. Gli imperiali pensavano che sarebbe stata una baggianata occupare la città, ma non fu affatto così, dato che i fiorentini resistettero in maniera saldissima per un anno. Siamo nell’aprile 1530 quando la strenua resistenza fiorentina inizia a cedere: la cittadina di Volterra insorge contro il governo repubblicano di Firenze; viene allora mandato Ferruccio a espugnare la città e riportarla sotto l’ala fiorentina. Il nostro protagonista non se lo fece ripetere due volte e si diresse contro Volterra, ponendola d’assedio e respingendo gli attacchi del capitano di ventura Fabrizio Maramaldo e divenendo così simbolo della resistenza fiorentina. Occupata e saccheggiata la città, Ferruccio si diresse verso Pisa ma venne richiamato a Firenze come ultima speranza contro gli imperiali. Ferruccio oppose agli assedianti tedeschi una feroce guerriglia ed infine, nell’agosto 1530, tentò di rompere l’assedio, affrontando le truppe imperiali nella Battaglia di Gavinana. Ferruccio perse la battaglia e venne catturato da Maramaldo, che, nella piazza della città, lo schernì per poi ucciderlo, nonostante fosse ferito. Poco prima di morire, l’eroe fiorentino ebbe la forza di lanciare una breve missiva contro il suo uccisore, la famosa frase “Vile! Tu uccidi un uomo morto”. A seguito della morte di Ferruccio e la sconfitta a Gavinana, Firenze si arrese agli assedianti, venendo graziata dal saccheggio per l’eroica resistenza dei cittadini e dei comandanti. Divenuto in epoca risorgimentale simbolo di resistenza contro l’oppressore straniero, Ferruccio venne inserito da Mameli nell’inno di un’Italia embrionale, a monito per gli austriaci della ferocia e caparbietà del popolo che stavano opprimendo.

 

Nicolas De Nicolò, III B - Liceo Linguistico